I legami alla figura e al paesaggio

che emergono come lontane citazioni

decontestualizzate


Dopo un esordio prettamente figurativo, Eugenio Mombelli ha scelto la strada di un “figurativo oscurato” d’ottima resa. All’interno di superfici generalmente scure - o, in opposto, candide, d’un colore a metà tra il gesso e la neve - s’aprono infatti finestre all’apparenza informali o brandelli di una narrazione velata, che riemergono dal tessuto del dipinto come brani di un racconto o citazioni o voci che giungono da un punto distante. Frammenti figurativi o cromatici che risulta impossibile ricondurre all’insieme compiuto della narrazione quanto i lacerti di un affresco che riappaiano, per distacco di malta, sotto un’antica scialbatura. Impossibile - è il messaggio dell’artista - giungere, nella modernità, ad una visione d’insieme. Il Novecento ha irrimediabilmente compromesso la possibilità di rappresentazione della figura umana. Il Novecento ha annientato, a livello artistico, l’unità di tempo e di luogo che si realizzava sulla tela. E lo stesso secolo ha generalmente promosso a livello poetico, dopo la stagione ermetica, il frammento lirico ad unità espressiva oracolarmente totalizzante. Per questo Mombelli utilizza dettagli per aprire una breccia interrogativa nella tela, trasformando l’opera in una ivoriana “Camera con vista”, cioé uno spazio tenebroso in cui all’improvviso penetra una luce abbacinante e con essa il dettaglio abnorme di un monumento che prende ad abitare le pupille dilatate da una permanenza ombrosa; citazione di un nero di fondo, questa, che Mombelli trae dall’amatissimo Caravaggio, pittore che, con le sue luci drammatiche e radenti, piombò come una fiondata nel cuore della pittura del primo Seicento. Sicché gli sguardi offerti da Mombelli allo spettatore - inseriti in una cornice informale di elevata caratura sotto il profilo degli equilibri compositivi, resi attraverso pesi cromatici e contrappesi grafici, scritture graffite, asperità materiche - sono quelli di un particolare decontestualizzato. Due, a livello tematico, sono i filoni che egli percorre nell’ultimo periodo: il primo, che appare come citazione d’eleganti quaderni di campo, è dominato essenzialmente da elementi che rinviano all’affresco (e sono riconoscibili eleganti sanguigne, citazioni di sinopie, tratti di dipinti di consistenza parietale dilavati da un tempo interiore) e alle tipologie architettoniche, completate da scritte incomprensibili, vergate o incise con una grafia corsiva oblunga che ricorda, nelle grazie acute, quella tedesca, pronipote del gotico. L’irruzione di questi scritti nel dipinto tende a sottolineare l’idea di frammentarietà della percezione, obbligata a muoversi in un’essenza pulviscolare. Come i brani di pittura risalenti dal nero o dal blu-notte sono dettagli infiniti, così le parole di una lingua inesistente sottolieano il carattere oracolare della pittura di Mombelli, che cattura il fruitore con una sciarada da sciogliere in direzione della comprensione del senso. Il secondo filone è quello dei “paesaggi oscurati”. Qui, in luogo degli elementi grafico-pittorici ripresi dal passato remoto, riaffiorano i colori dei paesaggi, sempre racchiusi da maschere non geometriche che impediscono la vista totale del panorama attraverso iati di forte oscurità. Conviene, a questo punto, soffermarsi sulle modalità pittoriche utilizzate da Mombelli per comprendere fino in fondo cosa significhi “oscuramento”. L’artista non parte dall’informale per giungere all’astratto. Nella prima stesura dell’opera delinea figurativamente sulla tela il soggetto o il paesaggio. Gli elementi di questa prima fase sono pertanto facilmente leggibili successivamente, Mombelli interviene in palinsesto con colore coprente, lasciando oculi, brecce o finestre irregolari dai quali emerge e pulsa il dipinto sottostante; quindi, attraverso l’uso di scritte graffite in aree neutre, contestualizzazioni e riquadri tracciati con i pastelli a cera, l’artista giunge a trattare sulla nuova superficie gli equilibri compositivi che attengono strettamente al linguaggio informale. (“Poniamo - dice - che dal fondo di un mio quadro emergano un campo rosso e una mezzaluna blu. La nostra percezione sarebbe portata a privilegiare immediatamente, in sequenza, l’emissione del rosso. Se io invece contorno con un graffito la mezzaluna blu, subito il nostro occhio assegna ad essa la priorità della visione, per considerare successivamente il campo rosso”). Ora risulta interessante conoscere il percorso compiuto da Eugenio Mombelli. Tutto partì dagli anni Sessanta. A quei tempi il giovane artista, formatosi al Liceo artistico e alla facoltà di Architettura, lavorava soprattutto nell’ambito della piena riconoscibilità dei suoi soggetti, costituiti in buona parte dall’esplorazione figurativa dell’universo femminile. Eppure, in quelle prove, egli vagliava l’insoddisfazione per un rapporto ancora troppo stretto con la pittura accademica, e con la sua scoperta identificabilità, con la stretta coincidenza tra significato e significante. La figura, qualunque essa fosse, pareva eccessivamente scoperta, soprattutto nei convulsi segmenti iconoclasti di Novecento, che aveva lasciato ai pittori scarsi margini di ricerca all’interno del figurativo puro. La figura pareva denunciare non solo la propria banalità, ma si ascriveva immediatamente ad un orizzonte di linguaggio melato ed assolutamente desueto. Mombelli decise di negare a se stesso la vista piena ed intervenne sui volti e i corpi di donna con mascherature geometriche. Tra l’Ottanta e il Novanta le sue figure giunsero ad un’ulteriore sintesi, in direzione di una “vista interiore”. La vera svolta verso il trattamento astratto di una base figurativa avenne tra il 1990 e il 1995, quando, abbandonate le geometrie delle maschere, le masse e gli equilibri, i lacerti di figura e le campiture compatte iniziarono a raggiungere quegli esiti elevati di armonia cromatica e compositiva, a fronte delle quali l’occhio s’appaga e la mente proietta le sequenze di un racconto interiore.

italiano

Maurizio Bernardelli Curuz

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Eugenio Mombelli